Controllare i geni con la mente

 

                                  

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 06 giugno 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVE AGGIORNAMENTO]

 

La possibilità fantascientifica di controllare i propri geni col pensiero ed influenzarne l’espressione con la volontà non è alle porte, ma i risultati di impressionanti esperimenti condotti di recente dimostrano che il raggiungimento di un tale traguardo costituisce un realistico obiettivo futuro.

Fino ad oggi, l’impiego di interfacce cervello/computer ha consentito di realizzare “piccole-grandi” imprese di sicuro effetto mediatico, come il controllo con la mente di un elicottero in volo, o la comunicazione diretta da cervello a cervello. Ma questo genere di esperimenti, che richiede complessi artifici e condizioni uniche per l’attuazione, assomiglia più a sofisticati giochi di prestigio o imprese da Guinness dei primati, che ai paradigmi basati sui sicuri mezzi di acquisizione scientifica ordinariamente impiegati nei laboratori. È già in un ben altro registro, rispetto a queste esibizioni clamorose, la sperimentazione del controllo cerebrale di arti artificiali, che appare come un cammino lungo e faticoso, irto di ostacoli e costellato di problemi. Ma il controllo con la mente di processi biologici all’interno dell’organismo, appartiene ad una dimensione scientifica diversa, oltre che ad una categoria logica distinta. Non si tratta qui di sfruttare i progressi tecnologici per sostituire l’azione delle mani che eseguono un comando cerebrale, ma di concepire la tecnica di nuovi processi artificiali. Ed è questo che è accaduto di recente.

Un gruppo di bioingegneri, guidato da Martin Fussenegger dell’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Zurigo, ha realizzato la prima interfaccia al mondo fra cervello e geni, basata su un impianto biologico sintetico. I ricercatori svizzeri hanno preso le mosse da una tipica interfaccia cervello-computer: un sistema di elettrodi di rilevazione da porre sul capo per registrare l’attività elettrica del cervello e trasmettere frequenze scelte, in qualità di segnali, ad un dispositivo elettronico. In questo caso, l’apparecchio ricevente era costituito da un generatore di campo magnetico, il cui razionale di impiego si basa sul fatto che differenti tipi di attività cerebrale possono determinare la variazione della forza del campo. Il passo successivo costituisce l’assoluta novità: il campo magnetico è stato impiegato per indurre la produzione di proteine all’interno di cellule di rene umane in un impianto posto nel topo.

L’idea si basa su una tecnica optogenetica, simile a quella ordinariamente impiegata nella sperimentazione biologica, che consente di indurre l’attivazione genica selettiva mediante la luce. I ricercatori hanno inserito geni batterici nel DNA di cellule renali umane, allo scopo di indurre la produzione di proteine sensibili alla luce. Le cellule sono state bioingegnerizzate in maniera tale che la loro stimolazione mediante la luce avviasse una sequenza di reazioni che alla fine porta alla formazione di una fosfatasi alcalina secretoria (SEAP, secreted alkaline phosphatase), una macromolecola facilmente rilevabile. Compiute tali manipolazioni, le cellule umane sono state poste, con una luce LED, all’interno di microcontenitori plastici successivamente inseriti sotto la cute di topi.

A questo punto, la cuffia elettrodica è stata posta sul capo dei volontari che, per generare dei segnali con il campo magnetico prodotto dal loro cervello, sono stati impegnati in due attività il cui correlato neurofunzionale è ben noto e caratterizzato: l’impegno in operazioni cognitive e la meditazione. Il primo dei due pattern è stato indotto facendo giocare i volontari a Minecraft, ossia mediante un’esperienza attualmente comune negli Stati Uniti e diffusa nel mondo.

Minecraft, realizzato dal programmatore svedese Markus Persson, è un videogioco[1] che consente di costruire e plasmare, mediante blocchi prismatici, un mondo tridimensionale e avveniristico in un accattivante ambiente di immagini. La meditazione è probabilmente, tra gli stati mentali che si collocano al polo opposto delle operazioni cognitive, quello più studiato e conosciuto da un punto di vista elettrofisiologico.

L’impegno in Minecraft generava campi elettromagnetici moderati, mentre la meditazione dava luogo a campi di grandi dimensioni; entrambi potevano agire in una piattaforma sulla quale erano posti i topi con i dispositivi sottocutanei prima descritti. Il campo magnetico attivava il LED infrarosso dei microimpianti dei roditori, che innescava la produzione di SEAP. La fosfatasi si diffondeva, attraversando le membrane, dal dispositivo nel torrente circolatorio dei topi.

L’attività cognitiva necessaria alle operazioni del videogioco produceva livelli moderati di SEAP nel plasma murino, mentre la meditazione generava alti livelli.

In tal modo sono stati sperimentati gli effetti di due attività cerebrali su meccanismi molecolari, ma l’esperimento più suggestivo ha riguardato un terzo tipo di attività mentale: il controllo cosciente. In questo caso è stata impiegata una vecchia tecnica che consente di esercitare e misurare l’influenza della volontà del soggetto su un parametro biologico: il biofeedback.

In estrema sintesi: i volontari potevano controllare con la vista la luce che emergeva attraverso la cute dei roditori e imparare ad esercitare con la propria volontà un’azione elettromagnetica in grado di accendere e spegnere la luce, avviando o facendo cessare la produzione di SEAP.

In realtà – come ha osservato lo stesso Fussenegger[2] – combinare un’interfaccia cervello/computer con un commutatore optogenetico è un’idea quasi banale, ma controllare geni in tal modo costituisce davvero una prospettiva totalmente nuova. La distanza fra un setting sperimentale come quello descritto ed una eventuale futura pratica clinica è evidente, senza bisogno di scomodare la questione dei costi legati al sistema del business tecnologico e dei brevetti, ed è chiaro che molti problemi dovranno essere affrontati e superati, prima di giungere ad un progetto operativo per applicazioni mediche. Tuttavia, ragionando in linea di principio, si possono fare alcune osservazioni sulle ragioni a sostegno del proseguimento di questi studi.

Un aspetto di estremo interesse è rappresentato dall’uso di questi dispositivi impiantabili che consentono di impiegare le risorse della tecnologia optogenetica senza bisogno di manipolare i geni delle cellule dell’ospite umano. In altre parole, questa procedura potrebbe consentire anche di superare uno degli ostacoli in termini di rischio non definito ma possibile - almeno secondo l’opinione prevalente nella nostra società scientifica - della terapia genica: la manipolazione del genoma mediante vettori virali, in genere adenovirus, che veicolano il gene fisiologico inteso a rimpiazzare quello difettoso o mancante.

Le applicazioni che si possono immaginare sono numerose, dalla promozione della biosintesi di neurotrasmettitori, come la dopamina nella malattia di Parkinson, la serotonina nella depressione, il GABA nei disturbi d’ansia e in quelli associati a riduzione dell’inibizione, alla produzione di molecole antalgiche naturali nelle sindromi dolorose o di fattori ematici deficitari nelle malattie emofiliche. La tecnologia di questa procedura potrebbe anche consentire ai pazienti di avere un controllo cosciente sui livelli ematici di molecole terapeutiche, invece di affidarsi a sensori; inoltre, il controllo cerebrale potrebbe essere impiegato per quelle persone con funzioni psichiche coscienti integre, ma con compromissione delle abilità comunicative.

Concludendo, non è superfluo rimarcare che i tempi per un impiego pratico, anche nelle ipotesi più ottimistiche, saranno lunghi.

 

L’autore della nota invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-06 giugno 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Videogioco del genere “avventura dinamica”, Sandbox, è stato pubblicato per la prima volta il 10 maggio 2009 dalla Mojang, casa fondata dallo stesso Persson, che l’ha poi venduta alla Microsoft il 15 settembre 2014 per una cifra record.

[2] Si fa riferimento ad una recente dichiarazione rilasciata a Simon Makin per Scientific American Mind.